Il diritto di interpello: definizione, applicazione - Parte 1

I casi della vita sono infiniti, e per quanto una legge possa essere dettagliata, ci saranno sempre degli interstizi non regolamentati fra un articolo e l’altro.

Il discorso diventa tanto più valido se analizziamo la sfera della normativa tributaria. Nel nostro Paese, la produzione di leggi, decreti e regolamenti è sempre stata così frequente e spesso contraddittoria da lasciare spazio ad un’infinità di dubbi sull’applicazione concreta di questo bagaglio normativo nella vita di tutti i giorni. E così, capita ad ogni contribuente di imbattersi in una situazione nella quale non sa esattamente quale norma applicare, o come essa debba essere interpretata in relazione al suo problema.

Nei Paesi anglosassoni è stato introdotto da molti anni un istituto, il ruling, che ha avuto così tanto successo da essere stato esportato in tempi successivi anche in altri Paesi.


In pratica il contribuente, anziché scervellarsi per trovare una soluzione (rimanendo comunque con il dubbio di aver sbagliato), si fa avanti presso l’Amministrazione Finanziaria, espone il suo caso e chiede come deve comportarsi.

In Italia, il termine “ruling” è stato tradotto con “interpello”, e fu introdotto con molta cautela con la legge 413/1991. Si decise infatti di ammetterlo solamente in relazione ad alcune questioni molto specifiche: in particolare, tramite l’interpello il contribuente poteva chiedere che certe spese da lui sostenute fossero qualificate come spese di pubblicità o di rappresentanza (il confine è labile, ma il trattamento fiscale è ben diverso), oppure domandare se il suo porre in essere una delle particolari operazioni di cui all’art. 37-bis del DPR 600/1973 (fusione, trasformazione, liquidazione ecc.) fosse da considerarsi elusive.

Quell’antica scelta del legislatore con gli anni si rivelò così felice che nel 2000 Vincenzo Visco vide l’interpello come uno straordinario antidoto contro il contenzioso tributario e volle potenziarlo enormemente.

 

Ridurre i ricorsi al contenzioso tributario, che oppone processualmente il contribuente all’Amministrazione Finanziaria, è divenuto negli anni Novanta uno degli obiettivi fondamentali della politica fiscale italiana.

Il contenzioso si trascina per molti anni, ha un costo pesante per i cittadini e per lo Stato, e ingolfa ulteriormente la già affaticata macchina della giustizia.
Per questo, alla fine del Novecento furono introdotti una serie di istituti innovativi (i cosiddetti “strumenti deflattivi del contenzioso”), che consentissero di prevenire o risolvere anticipatamente le controversie senza ricorrere alle commissioni tributarie. Fra questi istituti deflattivi, ricordiamo il ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione e il diritto d’interpello.


Quest’ultimo, introdotto cautamente nel 1991 con riferimento a pochissime fattispecie, fu generalizzato con la L. 211/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) ad ogni ipotesi di dubbio sull’interpretazione delle norme esistenti.

L’interpello generalizzato ha di fatto sostituito il previgente istituto del ’91 (formalmente mai abrogato, peraltro), e fissato le basi su cui negli anni a venire si sarebbe uniformati anche altri interventi del legislatore.


La procedura è la seguente: quando un cittadino si trova ad avere dubbi su quali norme tributarie applicare oppure su come interpretarle, presenta una domanda all’ente competente. É indispensabile, come dice la legge, che si tratti di un “caso concreto e personale” inerente il contribuente: non è ammesso presentare quesiti generici. Quando un interpello contiene una domanda generale, infatti, l’ente potrebbe emettere comunque un suo parere che può orientare il richiedente, ma esso è privo di qualsiasi valenza giuridica.

Per costituire un interpello vero e proprio, dunque, il contribuente deve indicare per iscritto in maniera sintetica ma esaustiva un caso concreto e personale, precisando tutti gli elementi utili a individuare una soluzione. Se lo desidera, ma non è obbligatorio, egli può anche esporre una sua personale interpretazione e chiederne conferma.

 

L’interrogativo posto dal contribuente può concernere qualunque materia di ambito tributario, senza limiti di argomento.

Egli deve esporre e sottoscrivere il suo caso per iscritto, in carta libera e in esenzione da imposta di bollo, e inviarlo tramite raccomandata oppure consegnarlo a mano all’ente competente, che avrà centoventi giorni per rispondere.

In particolare, se il discorso riguarda un’imposta locale occorrerà riferirsi ovviamente all’ente amministrativo corrispondente, mentre nell’ipotesi di un tributo erariale ci sono varie alternative: se la questione riguarda la materia doganale o problemi legati al catasto, l’interpello andrà inviato rispettivamente alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Dogane oppure del Territorio.
Negli altri casi occorrerà riferirsi all’Agenzia delle Entrate, solitamente alla Direzione Regionale, ad eccezione dei casi in cui l’interpellante sia un ente pubblico oppure sia un privato che nell’anno precedente ha ottenuto ricavi superiori a 258 milioni di euro circa, perché in questo caso la sede competente è quella centrale, a Roma.


É fondamentale ricordare che la presentazione dell’interpello non ha in nessun caso valore sospensivo nei confronti di alcun obbligo di legge. Per cui, se un contribuente non sa se è tenuto o meno a versare una certa imposta e presenta interpello, questo non significa che può astenersi dal versare quel tributo in attesa della risposta. É dunque sempre meglio pagare tutto il dovuto ed eventualmente chiedere in un secondo momento il rimborso quando possibile, piuttosto che affidarsi ciecamente all’interpello.


Dopo l’invio dell’istanza possono accadere vari casi. Può capitare che l’Agenzia dia ragione al contribuente, confermando l’ipotesi interpretativa che lo stesso aveva suggerito, o, al contrario, che tale ipotesi sia rigettata totalmente o parzialmente, o ancora che in mancanza di un’interpretazione del contribuente intervenga quella dell’amministrazione; infine, può capitare che dopo centoventi giorni non sia giunta nessuna risposta. Le relative conseguenze sono differenti.

 

 

22/11/2008

Fonte: http://www.impresalavoro.eu

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