Efficienza energetica o rinnovabili? Cosa conviene di più?

Il recente Piano per l’efficienza energetica 2011 della Commissione europea, pubblicato nel marzo di quest’anno, esordisce decantando le virtù di quella che “sotto molti aspetti può essere considerata la maggiore risorsa energetica dell’Europa. Date queste premesse, appare stupefacente apprendere, sempre nello stesso documento della Commissione europea, che, al ritmo attuale, solo metà di quell’obiettivo potrà essere raggiunto. Molto peggio di quanto ci si attende per il target percentualmente identico, questo sì molto costoso, delle rinnovabili.  Eppure, tutti gli studi quantitativi, indipendentemente dal grado di sofisticazione, ci dicono che in termini di costo-efficacia tra efficienza energetica e rinnovabili non c’è partita.

Risparmio energetico vuol dire risparmio, gli ultimi aumenti ne danno la dimensione su quanto questo incide sul  bilancio famigliare.

Questo dovrebbe  costringerci seriamente a interrogarci sui motivi che hanno fin qui rallentato la crescita dei mercati dell’efficienza energetica (non a caso uso il plurale, perché uno dei problemi chiave almeno fino ad ora è stato proprio quello di una realtà frastagliata difficilmente riconducibile ad una sua organicità o quantomeno a un forte denominatore comune).

Come al solito in questi casi, la risposta sulle cause non è univoca.

In teoria, quello del finanziamento dei progetti di efficienza energetica è un non problema.

Al contrario delle fonti rinnovabili, i progetti di efficienza energetica non avrebbero neppure bisogno di particolari sostegni pubblici.

Converrebbe farli a prescindere, come direbbe qualcuno.

Eppure, se non si fanno, a parte la disinformazione, che certamente gioca un ruolo, la ragione principale sta nel profilo finanziario degli investimenti: a fronte di un esborso iniziale, tanto più rilevante quanto maggiore è il guadagno di efficienza che si vuole acquisire, le condizioni economiche che giustificavano quell’investimento (la proprietà di un immobile piuttosto che la produzione di un certo bene) dovrebbero tener conto degli aumenti del costo dell’energia per le ragioni in questo sito ampiamente documentate.

Ecco dunque perché le stesse istituzioni comunitarie (si pensi alla Banca europea degli investimenti) hanno stanziato notevoli risorse per finanziare interventi di efficienza energetica e hanno in programma di renderne disponibili molte altre nei prossimi anni.

Ma certamente in un mercato che dovrà raggiungere cifre del tutto considerevoli e coinvolgere una parte rilevante dei cittadini e delle aziende europee non è ipotizzabile che il ruolo principale di finanziatore sia svolto dal settore pubblico (che forse più utilmente dovrebbe incominciare a dare il buon esempio sia con la ristrutturazione del proprio patrimonio immobiliare che con il green procurement, come auspica il Piano della Commissione).

I sussidi italiani alle rinnovabili quantificati  in 37 milioni di dollari all’anno (27 milioni di Euro), adesso, al 2011, con 11GWp del solo Conto Energia per il FV, sono diventati 5 Miliardi di Euro all’anno per i prossimi 18-20 anni!

E siccome la crescita dell’attuale (quarto) Conto Energia è ancora incontrollatamente esponenziale, dal prossimo anno saranno 10-12 milardi di Euro all’anno.

Ce li possiamo permettere?

Sicuri davvero?

E se anche ce li potessimo permettere, siete veramente convinti che sia il miglior modo per impiegare questa tassazione

Il costo del kWh elettrico già più alto in Italia che nella media EU, è gravato ancora di più da una componente A3 in bolletta che diventerà esosa e dalla crescita dei costi per i “Servizi di Rete” per coprire i costi che derivano dall’intermittenza della generazione.

E’ dunque chiaro che ad oggi il principale limite allo sviluppo dell’efficienza energetica è dato oggi dalla virtuale assenza delle banche, molto attive nel comparto rinnovabili per gli incentivi sopra descritti.

Alle quali, oltre le tante colpe di cui vengono additate, specie negli ultimi anni, non può essere rimproverato più di tanto nello specifico, se non forse lo scarso contributo lobbistico a rimuovere con un’azione necessariamente di sistema gli ostacoli che si frappongono alla bancabilità dell’efficienza energetica.

Che sono in primo luogo due: l’estrema varietà dei progetti (una differenza lampante rispetto all’agevole riduzione a un numero limitato di standard tecnologici delle rinnovabili) e la difficile nonché incerta certificazione dei risparmi effettivamente conseguiti.

Un altro aspetto che blocca lo sviluppo di modelli di risparmio e efficienza energetica possiamo individuarlo nel fatto che  siamo un paese che si distingue da sempre per una tassazione sopra la media su tutti i consumi energetici (tanto che – ad esempio – se i prodotti energetici aumentano di prezzo il governo va in un particolare conflitto di interessi perché da una parte c’è rischio di stagnazione economica ma dall’altra sale il gettito fiscale…).

Da queste due riflessioni si potrebbe intuire il perchè dello scarso interesse a promuovere in Italia quella parte che riguarda il 20% di risparmio energetico indicato come obiettivo vincolante dalla comunità europea.

Nonostante questo a livello legislativo l’Italia nel 1976 è stata il primo Paese ad introdurre il concetto di isolamento termico minimo necessa­rio e si è posta all’avanguardia su scala internazionale con l’emanazione della Legge n. 10 del 1991 “Norme per l’at­tuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energeti­co e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”.

Con due anni di anticipo rispetto alla Direttiva Co­munitaria 1993/76/CE, volta a limitare le emissioni di CO2 ed a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, viene introdotto il principio della certifi­cazione energetica degli edifici.

Viene stabilito l’obbligo per le Province e Comuni con più di 40.000 abitanti di effettuare controlli periodici, viene introdotto, in linea di principio, l’obbligo per gli edifici pubbli­ci e privati di essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo i consumi di energia termica ed elettrica.

Si assegna alla Pubblica Amministrazione un ruolo prioritario per la diffusione delle fonti rinnova­bili di energia o assimilate.

Se sui principi l’Italia si mostra quindi decisamente all’avanguardia, sull’applicazione concreta  si possono sollevare parecchi dub­bi e pone un altro problema: Pubblici amministratori, tecnici comunali, imprese latitano ……

Basterebbe  una vasta opera di sensibilizzazione sul certificato energetico dell’edificio e di valorizzazione delle informazioni ivi riportate, ad esempio traducendo gli indicatori energetici di sintesi forniti dal cruscotto in extracosti costi annui dell’unità immobiliare rispetto al miglior standard di riferimento.

L’incremento dell’obbligo di risparmio energetico determinerebbe un forte incremento del valore di mercato dei certificati bianchi, necessario per stimolare gli investimenti più onerosi.

A medio e lungo termine ne beneficeranno tutti gli utenti: famiglie, imprese, pubbliche amministratori, con ricadute utili per l’intero paese.

Riepilogando: Le banche non amano molto finanziare l’efficienza energetica, lo stato legifera ma ha necessità di risorse a breve termine, amministratori e imprese edili non colgono l’aspetto economico che sta dietro la riqualificazione degli edifici.

 

29/11/2011

Fonte: http://criticamente.it

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