Previsto forte sviluppo per l’utilizzo dell’energia geotermica anche nelle abitazioni

Mentre il dibattito sulle fonti pulite italiane è prevalentemente concentrato su eolico e fotovoltaico, c’è una fonte che sotto traccia o, per meglio dire, sotto terra, si prepara a conoscere un periodo di forte espansione, in particolare nel nostro Paese.

Stiamo parlando della geotermia, ossia lo sfruttamento del calore naturale presente all’interno del Pianeta: in particolare nelle zone in cui gli strati caldi (oltre i 90 gradi) sono molto vicini alla superficie (anomalia geotermica) è possibile utilizzare questo calore per la produzione di energia elettrica.

Si tratta di una risorsa non certo nuova (in Italia è impiegata per la produzione energetica già dagli inizi del Novecento) ma che ora appare pronta alla svolta, anche per via di significative novità dal punto di vista normativo. La situazione di partenza dell’Italia non è certo negativa: la produzione geotermoelettrica ha conosciuto, dal 1990 al 2011, un aumento del 75%, passando da 3.222 GWh/anno a 5.654 GWh/anno, per una capacità complessiva di 772 MW, un dato pari a circa la metà della potenza installata nell’intera Europa.

Il limite è rappresentato dal fatto che, ad oggi, tutti gli impianti geotermici esistenti, gestiti esclusivamente da Enel Green Power, sono localizzati soltanto in Toscana, nonostante le risorse geotermiche siano potenzialmente molto importanti nell’intera area del Tirreno meridionale. Lo scenario appare però destinato a cambiare notevolmente già nel breve termine: secondo gli ultimi dati a disposizione dell’Unione geotermica italiana, negli ultimi 3 anni sono state presentate in Italia, da circa una trentina di imprese italiane e straniere, 108 richieste per nuovi permessi di ricerca di risorse geotermiche per la generazione di energia elettrica.

Non solo Toscana

La novità più significativa è che, oltre alla consueta Toscana (51 richieste), tra le Regioni in cui sono giunte più richieste per permessi di ricerca ci sono il Lazio (34 domande), che in diverse zone del suo territorio presenta caratteristiche geologiche del tutto similari al territorio toscano,  l’Alto Adige (9), la Sardegna (7), la Sicilia (6), oltre a un permesso di ricerca offshore nel basso Tirreno.

L’obiettivo di queste ricerche è finalizzato a reperire i fluidi geotermici entro una profondità di riferimento di 2 km, mentre alcuni progetti puntano a reperire fluidi a maggiori profondità e a temperature più elevate, interessando anche le aree marginali dei campi geotermici già in esercizio. Oltre a Enel Green Power, in campo ci sono operatori internazionali come la  Gesto Italia srl (controllata del gruppo portoghese Martifer) e la  Magma Energy Italia srl (legata alla canadese Magma Corporation).

Tra i soggetti nazionali vi sono nomi importanti come Sorgenia, Erg, Saras, Repower, Rauch Geothermics e tanti altri. Si sta assistendo, insomma, a una vera e propria esplosione di richieste che non ha precedenti nella storia italiana dello sfruttamento della geotermia e che potrebbe permettere di superare ampliamente quanto previsto dal Piano di Azione italiano per le fonti rinnovabili (Pan), che pure ipotizzava un aumento della capacità di circa 170 MW al 2020, per una produzione annua complessiva di circa 1.100 GWh. In effetti, secondo un recente studio dell’European Geothermal Energy Council (Egec), l’Italia potrebbe avere in esercizio 923 MW già entro il 2015.

 

I cambiamenti normativi

La corsa alla geotermia italiana ha alla base precise ragioni normative, in particolare è la conseguenza del Decreto legislativo. n.22 dell’11/2/2010 di “Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche”, emesso in attuazione dell’art. 27 della L. n.99/2009. Tra le principali novità introdotte con questo decreto c’è stata l’eliminazione delle norme della L. n. 896/86 che attribuivano la preferenza a Enel e Eni per il rilascio dei permessi di ricerca e, in particolare, l’esclusiva delle attività di coltivazione delle risorse geotermiche a Enel nelle Provincie di Grosseto, Livorno, Pisa e Siena.

Il Decreto ha poi introdotto norme per consentire alle Regioni di regolare lo sfruttamento delle risorse geotermiche in base alla valutazione delle “possibili interferenze” tra nuove attività e attività già oggetto di concessione. Infine il Dlgs ha ridotto la superficie massima dei permessi di ricerca da 1000 a 300 km, introducendo un tetto complessivo per i permessi attribuibili a un singolo operatore (1000 km2  a livello regionale e di 5000 km2  a livello nazionale).

 

I nuovi incentivi

Un’ulteriore spinta alla crescita del settore dovrebbe arrivare dall’incentivazione: la geotermia, infatti, è uno dei pochi settori a essere stato favorito dal Decreto sulle rinnovabili elettriche varato tra le polemiche lo scorso luglio. Rispetto al vecchio sistema, che garantiva una remunerazione di circa 121 euro al Mwh per un impianto da 5 MW, il nuovo regime dovrebbe assicurare sussidi compresi tra i 99 e 172 euro al MWh, a seconda del tipo di installazione.  La riforma, nonostante le perplessità su alcuni punti, è stata accolta con sostanziale soddisfazione da parte dell’Ugi, in particolare per «l’innalzamento della soglia a 20 MW per la partecipazione alle aste, ai contingenti previsti fino al 2015 e ai livelli d’incentivazione previsti (anche  se restano inferiori a quelli previsti nei più importanti paesi  europei)».

 

La geotermia a bassa entalpia

Oltre all’uso per la produzione di energia elettrica, nel nostro Paese c’è un’altra in forte espansione, nonostante l’assenza di incentivi ad hoc: si tratta della climatizzazione degli edifici con energia termica ottenuta mediante pompe di calore geotermiche.

Gli impianti geotermici a bassa entalpia si basano su una constatazione elementare: mentre la temperatura nell’aria varia con una periodicità giornaliera e annuale, la temperatura nel terreno risente della variazioni esterne solo nei primi metri superficiali. La variazione di temperatura diminuisce con la profondità ed è trascurabile al di sotto dei 15 metri. Negli impianti geotermici avviene un prelievo di calore dal terreno per conduzione, mediante un fluido vettore che circola in un circuito chiuso sotto terra a una temperatura minore rispetto al terreno circostante.

Il vantaggio principale è sul fronte dei consumi: il costo di gestione degli impianti geotermici è più economico di circa il 50% rispetto a quello degli impianti alimentati con il gas metano, con un tempo di ritorno dell’investimento (in assenza di incentivi) che va da un minimo di 6 anni a un massimo di 12 anni. Inoltre, mentre le risorse geotermiche ad alta temperatura, utilizzabili per la produzione di energia elettrica, sono disponibili soltanto in limitate aree del Paese, quelle a temperatura inferiore di 30 gradi, sfruttabili grazie alle pompe di calore geotermiche, esistono quasi dappertutto, anche a piccola profondità.

 

Le prospettive

Per questo motivo le prospettive sono molto positive, dati anche gli obblighi europei in materia di consumi energetici degli edifici. Già negli scorsi anni, la crescita della geotermia italiana è stata determinata soprattutto dal maggiore apporto degli usi diretti del calore (comprese le pompe geotermiche), che sono passati dagli 0,2 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio del 2005 ai 0,3 Mtep del 2010, con un incremento medio annuo dell’8,5%.

Per quanto riguarda, invece, il futuro specifico delle pompe di calore geotermiche, l’Ugi si attende un balzo dai 1.700 TJ (a) annui del 2010 a quasi 4.700 TJ/a nel 2020, che diventeranno quasi 15.000 nel 2030. Per l’intera geotermia italiana, insomma, il futuro si profila ricco di soddisfazioni, con ricadute positive per il sistema economico nazionale nel suo complesso. Entro il 2030, nel migliore degli scenari possibili, si potrebbero creare sino a 200.000 nuovi posti di lavoro (laureati, tecnici, operai), con investimenti per 2 miliardi di euro e 400 milioni di euro destinati alla ricerca e sviluppo.

 

03/12/2012

Fonte:

http://www.reteingegneri.it

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