Riscaldamento globale e cambiamenti climatici. Presentata la bozza della “Strategia nazionale di adattamento ai mutamenti climatici”

Il clima cambia. E che sia per cause antropiche, tesi sostenuta dalla totalità della comunità scientifica, oppure per cause naturali, questione che trova riscontro ormai solo nelle industrie energivore legate ai combustibili fossili, ha poca importanza, poiché i risultati sono comunque gli stessi e tutte le attività umane dovranno fare i conti con il riscaldamento globale.

In termini tecnici queste politiche si chiamano d’adattamento e ruotano attorno e tutte quelle pratiche che consentono di “resistere” agli effetti dei cambiamenti climatici dei prossimi cento anni. Il Pentagono, per esempio, è molto preoccupato da una decina d’anni sia per le tensioni geopolitiche che i cambiamenti climatici potrebbero portare, sia per la propria logistica che sarebbe compromessa da fenomeni come gli eventi estremi e l’innalzamento del livello dei mari.

Problema, sembra incredibile, che riguarda anche il nuovo piano nucleare inglese. Le nuove sei centrali nucleari britanniche che dovrebbero sorgere negli stessi luoghi di quelle vecchie in via di dismissione, infatti, saranno poste a una quota più elevata per proteggerne il funzionamento anche in caso di aumento del livello del mare durante il prossimo secolo, cosa comprensibile visto che tra esercizio e dismissione dovrebbero resistere, forse, per 160 anni. In Italia, al contrario, sembra che il dibattito sull’argomento sia quasi fermo, nonostante dopo ogni evento estremo, come il caso del ciclone tropicale che ha investito la Sardegna il 18 novembre 2013, si invochino interventi per la messa in sicurezza del territorio sul fronte idrogeologico, operazione che costerebbe circa 40 miliardi di euro.

Gli interventi auspicati, però, non tengono conto dei cambiamenti climatici che sembrano essere sconosciuti ai pianificatori e ai decisori politici, come se fossero degli inquilini scomodi. E ignorare i cambiamenti climatici, oggi, non è una cosa di poco conto visto che ci si potrebbe trovare nella situazione di aver “messo in sicurezza” il territorio, spendendo quasi tre punti di Pil, realizzando interventi inadeguati in relazione alle variabili introdotte dal global warming, poiché non se ne considerano gli effetti crescenti.

La situazione sembra, però, essere cambiata visto che alla fine dello scorso ottobre il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha presentato la “bozza” della “Strategia nazionale di adattamento ai mutamenti climatici”, con la quale l’Italia dovrebbe affrontare il problema come ci chiede l’Europa. E anche se si tratta solo di una bozza, quest’atto sembra già un gran passo in avanti visto che solo il 14 aprile 2010 fu approvata in Senato la cosiddetta mozione D’Alì che dichiarava inesistente il global warming dovuto alle attività antropiche e chiedeva all’Italia di contrastare le già blande politiche delle Nazioni Unite e dell’Unione europea in fatto di clima. «In termini strettamente economici si stima che il cambiamento del clima, con un riscaldamento medio di 0,9 gradi, possa generare costi economici pari a una perdita aggregata tra lo 0,12% e lo 0,16% del Pil al 2050, corrispondente a circa 20-30 miliardi di euro. – ha affermato Orlando -

La perdita economica, segnala poi la bozza, potrebbe arrivare fino allo 0,2% del Pil se la variazione di temperatura fosse di +1,2 gradi». Secondo il ministro ad avere maggiori danni sarebbero settori come il turismo e l’economia delle regioni alpine. «Nel giro di pochi anni l’Italia potrebbe vedere ridursi le sue riserve di acqua da bere e per irrigare, dovendo affrontare fenomeni di desertificazione nel Mezzogiorno, subire frane, alluvioni e incendi, questi ultimi resi più frequenti da prolungati periodi di siccità. prosegue il ministro – Affronteremo l’innalzamento dei mari con una crescente erosione ed un ulteriore dissesto lungo le coste, senza dimenticare la possibilità del diffondersi di malattie infettive tropicali non tipiche dei nostri habitat». E al ministero non sottovalutano l’impatto sulle infrastrutture e sull’energia visto che la scarsità idrica influenzerà sia la generazione termoelettrica, sia quella idroelettrica, ma il processo decisionale non è ancora pronto, poiché il piano è, per ora, solo il risultato di un tavolo tecnico ed è stato sottoposto a consultazione per oltre due mesi.

Tutto a posto quindi? Non proprio poiché il documento apre la fase conoscitiva quando in realtà ci si dovrebbe porre già ora il problema di come rispondere ai cambiamenti climatici, mettendo in pratica, quando possibile, delle contromisure. Non è possibile, infatti, realizzare nuove direzionalità nelle periferie urbane non sapendo come dimensionare il deflusso delle acque piovane, oppure non si potranno realizzare nuove espansioni edilizie senza mettere in conto il crescente rischio idrogeologico in maniera chiara, in base alle stime degli scienziati. Senza una base conoscitiva diventa anche difficile immaginare come dimensionare i sistemi di condizionamento di abitazioni e uffici che dovranno far fronte alle sempre maggiori ondate di calore che faranno impennare la richiesta d’elettricità estiva, così come sarà impossibile tarare al meglio, in molte zone specialmente del Sud Italia dove è fatiscente, la rete di distribuzione idrica, cosa che potrebbe portare notevoli problemi all’agricoltura, visto che consuma il 70% dell’acqua dolce disponibile.

Quindi, ancora una volta, siamo fanalino di coda in Europa. In allegato al documento di consultazione sull’adattamento, infatti, ci sono i riferimenti agli omologhi provvedimenti adottati in Europa e si va da quello redatto nel 2005 dalla Finlandia a quelli datati 2012 di Irlanda, Austria, Svizzera e Lituania. Non sono pochi i Paesi che hanno già adottato degli scenari precisi e stanno dimensionando gli interventi. Il caso dell’Olanda è, sotto questo aspetto, chiaro. I Paesi Bassi, infatti, hanno da tempo stimato i rischi dovuti agli effetti dei cambiamenti climatici, dovuti principalmente, nel loro caso, all’aumento del livello del mare. A rischio sono, secondo gli studi conoscitivi fatti nel 2008 e basati su dati già noti nel 2004, l’85% delle coste e i territori retrostanti in una fascia compresa tra i 10 e i 50 km di profondità, area nella quale si produce il 53% del Pil e vive il 55% della popolazione, quasi nove milioni di persone.

Questo lo scenario conoscitivo in base al quale è aumentata la spesa per la sola difesa delle coste dall’erosione che è passata dagli 85 mln €/anno del 1998 ai 236 mln €/anno del 2015 già stanziati. Per quanto riguarda il documento italiano, invece, le cifre sono poche e l’unica indicazione è quella tratta da un volume di Carlo Carraro“Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia. Una valutazione economica” del 2008 dal quale si desume ciò che ha detto il ministro, riportato nelle righe precedenti, al quale bisogna aggiungere che si tratta di un trend che porterebbe le perdite economiche a moltiplicarsi per sei nel periodo tra il 2050 e il 2100. E qui con i dati ci si ferma.

Tutto il resto del documento è ricco di condizionali, necessità di approfondimenti e di prospettive. Bisognerà attendere la fine della fase di consultazione per vedere, forse, un documento più concreto, senza contare, poi, che i contenuti dovranno passare l’esame degli enti locali, dove troveranno delle robuste opposizioni. Insomma dovremmo aspettare parecchio per iniziare a trovare qualche misura per l’adattamento climatico in qualche regolamento edilizio comunale, ad eccezione dei pochi comuni virtuosi, e nel frattempo sperare che il clima ci dia una tregua.

 

13/03/2014

Fonte:

http://www.tekneco.it

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