Pompe di calore: dimensionamento impianto

Vediamo come si progetta un impianto di riscaldamento, sia come dimensionamento che dal punto di vista economico. Preciso subito che esistono due diverse "tecniche": quella "fatta bene" e quella "a spanne". Nella prima parte vediamo la progettazione "fatta bene"; però, se l'impianto è semplice, non c'è niente di male ad impiegare la seconda, poiché in caso contrario i costi della sola progettazione potrebbero diventare paragonabili con l'intero impianto!

La progettazione più corretta che si possa fare è suddivisa nelle seguenti fasi:

Valutazione della dispersione dell'edificio/appartamento

Questa fase tende semplicemente a stabilire, per ogni stanza, la potenza necessaria al mantenimento della temperatura stabilita, quando all’esterno si verificano le condizioni climatiche più severe.

Valutazione delle modalità d'uso del riscaldamento

Il valore teorico della prima fase viene aggiustato con considerazioni sul rendimento, sulle perdite dell’impianto, sull’uso intermittente, sugli apporti di calore “gratuiti” (es. esposizione al sole). Solo qui comincia a mostrarsi la differenza tra i vari sistemi di riscaldamento.

Comparazione e valutazione economica

Si compara la convenienza economica di ogni sistema di riscaldamento considerato (pompa di calore, caldaia a metano, ...). La valutazione si basa sul consumo annuo e sul costo d’acquisto. Si sceglie l’impianto globalmente più economico.

Dimensionamento

Si finalizza la progettazione dimensionando gli elementi necessari al riscaldamento di ogni singola stanza: dimensioni dei tubi, dei radiatori o dei ventilconvettori, della caldaia o batteria, ecc. ecc.

Il progetto dell'impianto di riscaldamento non è né un divertimento né un'opzione: la legge 10/91 infatti lo rende obbligatorio come parte integrante del progetto complessivo di tutti i nuovi edifici, ed in caso di sostituzione dell'impianto (anche individuale!) per quelli esistenti. Ovviamente in questi casi può redarlo solo un professionista abilitato. La legge inoltre vincola il "Fabbisogno Energetico Normalizzato" (FEN) dei nuovi edifici, in modo che non si debba spendere troppo combustibile per riscaldarli, e fissa i rendimenti minimi per gli apparecchi impiegati. È anche giusto; se gli edifici sono grossi, si tratta di decine o centinaia di milioni risparmiati, a tutto vantaggio dell'acquirente e dell'ambiente (cioè di tutti noi!). Tenete presente comunque che per ora l'obbligo di progetto c'è solo per il riscaldamento, non per il condizionamento. Inoltre i metodi di calcolo per questi due sono leggermente diversi, come vedremo.

Prima fase: valutare la dispersione dell'edificio/appartamento

Per poter acquistare il giusto impianto di riscaldamento, occorre (ovviamente) valutare quanto calore dovrà consumare. Vi sono diversi metodi per farlo; il metodo ottimo (che incidentalmente è quello da impiegarsi in Italia nel caso di obbligo di progetto) è quello descritto dalle norme UNI (ve ne sono svariate sull'argomento). Il calcolo non è particolarmente complesso, ma è lungo perché prende in considerazione una lunghissima serie di dati, quali:

  • Misure di pavimenti, pareti e soffitti confinanti con l'esterno, il terreno o ambienti non riscaldati;
  • I materiali con cui sono realizzati (ovvero la loro capacità di disperdere calore o isolare, e la capacità termica), insieme alla natura ed allo spessore dei vari strati costitutivi (intonaco, mattoni, intercapedini...);
  • L'orientamento delle pareti esterne e la loro esposizione al vento;
  • Le dimensioni, la forma e il materiale con cui sono realizzati gli infissi (porte e finestre), che sono importantissime fonti di dispersione termica, ovvero dimensioni del telaio e del vetro nonché se si tratta di infissi a taglio termico, se il vetro è singolo o doppio, se è riempito di aria o gas inerte, la sua tenuta all'aria, se c'è una serranda ...
  • Le dimensioni e la conformazione delle varie giunzioni parete-parete (spigoli interni ed esterni), parete-soffitto e parete-pavimento, ovvero i cosiddetti "ponti termici";
  • La quantità del ricambio d'aria con l'esterno e con ambienti non riscaldati;
  • L'esposizione al sole e al vento, compresi eventuali ostacoli e oggetto schermanti (balconi, edifici circostanti);
  • Gli eventuali "apporti d'energia gratuiti": persone presenti, macchine da cucina, frigoriferi, lampadine, ecc.

Con questi parametri, ed (un bel po' di) calcoli, che non ho minimamente intenzione di descrivere qui perché ci vorrebbero pagine e pagine di tabelle, si arriva ad una misura della dispersione delle singole stanze e dell'intera abitazione. Conoscendo la dispersione è semplicissimo sapere, con sufficiente precisione, quanta energia (calore) bisogna immettere in ogni stanza per mantenere una determinata differenza di temperatura tra interno ed esterno.

Se infatti fissiamo la temperatura interna a 20°, e quella esterna alla minima che ci aspettiamo, ragionevolmente, si possa verificare durante l'inverno (anche questa è indicata, comune per comune, nelle norme UNI - il cosiddetto "valore di temperatura di progetto"), possiamo sapere con una certa precisione il calore che ci dovrà fornire il nostro impianto. Se, ad esempio, il nostro calcolo ci fornisce per la nostra abitazione una dispersione pari a 0,44 kW/°C ciò vuol dire che, quando fuori ci sono 5°, per mantenere internamente la temperatura di 20° occorre una potenza di 0,44*(20-5)=6,6 kW; dovremo quindi installare una caldaia con una potenza resa maggiore di questa, oppure una pompa di calore che renda questa energia.

Il solito DPR 412/93 fissa anche un valore limite massimo per il coefficiente di dispersione, ossia la dispersione per ogni metro cubo da riscaldare, per le case di nuova costruzione (il Cd lim.).

Che cosa si usa per fare questi conti? Come già detto, bisogna avere in mano le norme UNI (si comprano anche su Internet, presso il sito del CEI; ma comprare tutte quelle necessarie è tutt’altro che economico; sicuramente non vale la pena farlo per un solo impianto), una planimetria dell'edificio, un foglio di calcolo e tanta, tanta pazienza per misurare ogni stanza, ogni spigolo della muratura, ogni dimensione degli infissi, ogni spessore e materiale di ogni strato componente ogni muro, pavimento e soffitto...

Volendo semplificarsi la vita si può adottare un programma apposta per questo. Ve ne sono diversi prodotti negli Stati Uniti, sia gratuiti (ma per DOS) che a pagamento, ma ovviamente non valgono per redigere un progetto "ufficiale" perché non seguono la metodologia UNI; oppure si può prendere un buon programma a pagamento italiano, comprensibile e perfettamente a norma, ma le norme UNI le dovete sempre avere, altrimenti probabilmente non ci capirete nulla... Suggerisco il sito della Kadmos, cha fa programmi semplici ed efficaci, ma ci sono svariati produttori italiani.

Seconda fase: valutazione delle modalità d'uso del riscaldamento

La prima fase ci dà il fabbisogno dell'abitazione se teniamo il riscaldamento perennemente acceso. Se però, come capita sempre, il riscaldamento è in funzione solo in certe ore del giorno, la capacità necessaria è leggermente diversa: prima di tutto dobbiamo avere una riserva di potenza perché la temperatura ottimale venga raggiunta in un tempo ragionevole, e poi le esigenze cambieranno a seconda se il riscaldamento viene acceso solo di notte (quando fa più freddo) piuttosto che di giorno (quando fa più caldo e c'è anche l'azione del sole). Tutto questo altera leggermente sia la potenza richiesta all'impianto, sia il suo costo di gestione. Per seguire sempre la metodologia UNI, dobbiamo valutare:

  • Il numero di ore di funzionamento dell'impianto e la loro distribuzione nella giornata;
  • Il tipo di regolazione (a termostato, differenziale);
  • Il tipo di impianto (caldaia, pompa di calore elettrica) e di componenti che distribuiscono il calore (terminali ad aria, termosifoni, ventilconvettori...)
  • I dati climatici statistici della località, ovvero temperature, insolazione e venti. Questi dati sono forniti, comune per comune d'Italia, dalle norme UNI.

Il tutto sembra di difficile valutazione; ma in realtà gran parte dei valori da adottare sono forniti belli e pronti nelle tabelle delle norme; e comunque si tratta di aggiustamenti di pochi punti percentuali.

Con tutti questi dati possiamo calcolare, con una discreta precisione, il fabbisogno di calore per riscaldarci per un intero inverno; sapendo il costo di ogni kilowatt sotto forma di elettricità o di metano (lo abbiamo fatto all'inizio...), possiamo arrivare infine al parametro più importante di tutti: quanto ci costa scaldarci per tutta la stagione fredda.

Per valutare meglio il comfort possiamo anche tracciare un grafico della temperatura raggiunta in casa durante i periodi di spegnimento giornaliero del riscaldamento.

Anche qui, per gli edifici di nuova costruzione, il solito DPR 412/93 fissa un valore limite per l'energia spesa per il riscaldamento invernale dell'edificio: il cosiddetto FEN (Fabbisogno Energetico Normalizzato), che viene calcolato in Joule/mc al giorno: in pratica è l'energia spesa in media ogni giorno per riscaldare un metro cubo di edificio. Ormai sappiamo perfettamente come trasformare questo dato in calorie, e quindi in kW di elettricità o metri cubi di gas, e quindi in lire, sapendo che il numero di giorni di riscaldamento in un inverno è fissato per legge (indovinate quale? Bravi: la 412/93!)

Cosa si usa per questa seconda fase? Se state usando il foglio di calcolo continuate ad usarlo, altrimenti di solito il programma che avete usato per la prima fase sarà in grado di fare i calcoli necessari anche per questa.

Terza fase: comparazione e valutazione economica

Se ripetiamo il calcolo della fase due per i diversi sistemi di riscaldamento che pensiamo di adottare, possiamo finalmente valutare quale sia quello che ci fa risparmiare di più.

Attenzione però; abbiamo due costi da considerare: un costo di installazione (il costo di acquisto dell'impianto) ed un costo d'esercizio (quello che spenderemo ogni anno per usarlo). Il costo d'acquisto lo troviamo nei listini; il costo d'esercizio non comprende solo il "carburante" per far andare l'impianto (sia esso metano, gasolio o elettricità), ma anche quello della manutenzione periodica, delle riparazioni, ecc.; la cifra quindi è valutabile solo con una certa approssimazione. E, come sempre capita, gli impianti che hanno un costo d'esercizio più basso hanno anche un costo d'acquisto più alto.

Il DPR 412/93 dice che - per quanto riguarda la pubblica amministrazione - bisogna scegliere l'impianto che risulti più conveniente dopo cinque anni. È una valutazione ragionevole. Attenzione però: non confondete questi cinque anni con la "durata attesa" dell'impianto, che è molto più lunga; si tratta insomma di una valutazione finanziaria e non tecnica. È interessante notare che, solo nel caso di impianto a pompa di calore in edifici di cubatura superiore a 10.000 metri cubi, il limite è elevato a otto anni (dieci nei centri storici, vista l'importanza del problema dell'impatto ambientale).

Un privato può anche adottare come base di calcolo un periodo più lungo; e qui si aprirebbe un complesso discorso finanziario. Se vogliamo essere precisi, infatti, dovremmo considerare che, quello che risparmiamo all'atto dell'installazione dell'impianto, potremmo investirlo in qualche modo per produrre soldi che abbassino il costo d'esercizio dell'impianto stesso; ma è anche vero che il rendimento sul lungo periodo di un investimento è valutabile solo con una certa approssimazione... insomma, oltre ad essere ingegneri dovremmo essere maghi della finanza, per fare questo riscaldamento! Per cui, in base ai vostri gusti, valutate per un periodo tra cinque ed otto anni, e questo va più che bene.

Come si fa a fare questa valutazione? Anche qui, pur essendo perfettamente adatto il solito foglio di calcolo, le cose vengono semplificate usando un programma apposito. Il DOE (Department of Energy) statunitense, l'equivalente del nostro Ministero dell'Ambiente, distribuisce un programma gratuito che permette di fare da se questo calcolo, stilando una "classifica" di convenienza dei vari tipi d'impianto a partire dalla dispersione della casa da riscaldare e dalla zona in cui si vive; questo perché ogni americano che risparmia sul riscaldamento fa anche bene all'ambiente... (en passant, c'è qualcuno "là dove si puote" che può prendere spunto???).

Il programma del DOE è prelevabile dal sito www.eren.doe.gov, ma se non si hanno i dati climatici del luogo dell'installazione, e non si sa come tradurli nella forma voluta dal programma, il suo uso è quasi impossibile.

Quarta fase: il dimensionamento

Abbiamo calcolato la capacità ed il tipo d'impianto più adatti a farci stare caldi ed a risparmiare; ora non ci resta che andarlo a comprare. Per fare la "lista della spesa" abbiamo ancora bisogno di calcolare poche cose che dipendono dal tipo d'impianto scelto. Vediamole:

Impianto a caldaia e termosifoni: se avessimo valutato che questo è il sistema di riscaldamento più economico, dobbiamo calcolare il numero di radiatori - uno per ogni stanza e la loro dimensione (cioè il numero di elementi da unire per comporli - ognuno ha una precisa potenza resa), la lunghezza dei tubi di raccordo, ed un piccolo surplus di energia che va dispersa nelle tubazioni

Pompa di calore canalizzata: dobbiamo calcolare le dimensione di bocchette d'aerazione in funzione del calore da fornire a ciascun locale. Inoltre dobbiamo calcolare le dimensioni delle tubazioni che portano aria, sempre in base alla quantità di calore da fornire ed alle perdite di carico; esiste anche un vincolo di velocità massima dell'aria che, se troppo elevata, crea turbolenza e di conseguenza rumore (molti non lo sanno, ed ecco che si sentono impianti con sibili e fischi molto fastidiosi...). Oltre alla mandata dell'aria occorre calcolare le dimensioni delle tubazioni di ripresa, per aspirare verso l'unità centrale l'aria da trattare. Importante: non si installano mai bocchette nei bagni, perché l'aria aspirata da questi si mescolerebbe e verrebbe reimmessa in tutte le altre stanze, con conseguenze facilmente immaginabili... Tuttavia, nel caso di grossi bagni, può essere necessario installare un piccolo termosifone elettrico, o addirittura una pompa di calore separata (split), nel caso di bagni ricavati da interi miniappartamenti :-).

Impianto a ventilconvettori (con pompa di calore oppure caldaia): dobbiamo calcolare la perdita nelle tubature e la potenza dei singoli ventilconvettori da installare, dati che troviamo sui cataloghi dei costruttori. Spesso per risparmiare, non si climatizzano i piccoli ambienti; questo potrebbe sembrare un limite di questo tipo di impianto, tuttavia, negli impianti ad aria, come dice il nome, la circolazione d'aria è molto maggiore che nel caso dei termosifoni, e di solito non ci sono difficoltà a riscaldare piccoli ambienti tramite quelli adiacenti, a differenza degli impianti a termosifoni; mentre nei bagni si possono installare dei più economici radiatori, per il solo riscaldamento (al limite anche elettrici). Il dimensionamento dei ventilconvettori può anche essere molto grossolano visto che ognuno ha un suo termostato interno, e, di conseguenza, interrompe il consumo di calore quando la stanza è alla temperatura ottimale, rendendolo disponibile per le altre.

Pompa di calore split: dobbiamo decidere in quali stanze mettere le unità interne e di quale capacità. Il calcolo è molto semplice, perché i tagli delle unità interne utilizzano sono molto pochi (di solito quelli usati negli appartamenti sono da 7000, 9000 o 12000 BTU, raramente - in stanze enormi - 18000); anche qui, visto che ogni unità è termostatata, eventuali errori sono automaticamente compensati dall'impianto, e normalmente non si installano unità nei bagni e nei piccoli locali.

Impianto di condizionamento

Nel caso di condizionamento (raffreddamento) il metodo di calcolo è simile, ma vi sono alcune modifiche; ad esempio l'influenza dell'irraggiamento solare, che ovviamente ha un'importanza molto elevata d'estate, ed i dati climatici che sono completamente diversi; occorre tenere presente che gli "apporti gratuiti" sono tali d'inverno, mentre d'estate sono altro calore da "aspirare fuori". C'è poi un problema: quando si raffredda l'aria, quasi sempre si crea condensa, ossia l'umidità presente nell'aria (che d'estate è sempre piuttosto elevata), non ce la fa a rimanere vapore e si trasforma in acqua; per farlo, fatalmente cede calore all'aria. Così, in sostanza, il condizionatore è costretto ad assorbire calore sia dall'aria, sia dall'umidità che vuole trasformarsi in acqua. Questo calore è praticamente perso, è un ulteriore prezzo che dobbiamo pagare per rinfrescare l'aria. Questo viene chiamato "calore latente", va calcolato in base al grado di umidità tipico e considerato nella capacità del condizionatore (di solito viene indicato nei dati tecnici dell'apparecchio). Ad essere sinceri, anche durante il funzionamento invernale si crea spesso condensa; ma d'inverno questo avviene solo nelle unità all'esterno (quelle che raffreddano l'aria), e tra l'altro in questo caso si tratta di un fenomeno positivo perché migliora il rendimento.

 

LEGGERE LE CARATTERISTICHE TECNICHE

Le unità di misura

Un mio amico, quando voleva indicare un dato in modo che non si capisse se fosse poco o tanto, diceva che era misurato in "Fulton al mese". Ecco, per la misurazione delle prestazioni delle pompe di calore sono state create unità di misura che ricordano molto i "Fulton al mese"; ma chi ha le opportune informazioni ed una buona calcolatrice può sempre tirarsi fuori dall'impasse. Tanto per cominciare specifichiamo meglio le differenze tra lavoropotenzacalore. Il lavoro è, intuitivamente, quanto è compiuto da qualcosa, indipendentemente dal tempo che ci è voluto per compierlo. La potenza è la capacità di compiere lavoro per unità di tempo: un motore di potenza doppia rispetto ad un'altro ha la capacità di compiere il doppio del lavoro nello stesso tempo, oppure lo stesso lavoro in metà tempo. Quando facciamo un contratto elettrico, stabiliamo la potenza massima che potremo prelevare dalla rete elettrica, indipendentemente dalla quantità di energia che consumeremo in realtà. La bolletta elettrica che paghiamo dipende sia dalla potenza massima - in misura fissa -, sia dalla quantità di energia (misurata al contatore) che abbiamo consumato. Il calore, in effetti, come già ricordato non è altro che lavoro; possiamo trasformare attraverso delle macchine calore in lavoro e viceversa (con certi limiti). Il calore, quindi, è un'altra forma di energia. La capacità di fornire calore per unità di tempo, di nuovo, non è altro che una misura di potenza.

Ecco un esempio delle unità di misura impiegate; perdonate la puntigliosità di certe distinzioni, ma è colpa della mia formazione.

  • Il Joule (J) è l'unità base dell'energia nel nostro sistema metrico internazionale.
  • Il Watt (W) è l'unità di misura della potenza nel sistema internazionale, con i sui multipli e sottomultipli (es. chilowatt (kW) = 1000 W); è pari ad un Joule al secondo (J/s); dovrebbe essere l'unica unità di misura di potenza usata in Europa. Magari.
  • Il chilowattora (kWh) che, contrariamente a quanto molti pensano, è una misura di energia o lavoro (non di potenza), è pari a 1000 Watt * 3600 secondi (un'ora) ovvero, come intuibile, a 3,6 milioni di Joule.
  • La caloria (cal.), è un'unità di misura di calore. Come già ricordato sopra, il fisico Joule ha dimostrato con la sua celebre esperienza che lavoro e calore sono la stessa cosa, stabilendo anche che una caloria è equivalente a 4,18 J. In genere la capacità di una caldaia o di un generico sistema di riscaldamento si esprime in Kcal/h, ovvero con una potenza; a volte si trova espressa direttamente in chilowatt, soprattutto per le piastre radianti elettriche (una piastra che consuma 1 kW di elettricità fornisce per definizione 1 kW di calore).
  • La BTU (British Thermal Unit) è un'altra unità di misura del calore, come la caloria; un kWh equivale a 3413 BTU; comodo è il fatto che 4 BTU equivalgono ad 1 kcaloria. La capacità di quasi tutti i condizionatori e pompe di calore è indicata in BTU.
  • Il Ton è un'antica unità di misura di potenza anglosassone; ancora si trova qualche condizionatore con capacità espressa in questa unità. 1 Ton equivale a 12.000 BTU/h, ovvero 3,52 kW.

A livello di curiosità riporto anche come nascono queste unità di misura:

  • Il Joule è il lavoro compiuto per spostare un oggetto di 1 metro sotto la forza di 1 Newton;
  • La caloria è la quantità di lavoro necessaria per innalzare di un grado un litro l'acqua;
  • la BTU è la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado Fahreneheit una libbra d'acqua
  • Il Ton è la potenza necessaria per congelare (o scongelare) una tonnellata d'acqua in 24 ore;

Possono tornare comode le seguenti tabelle di conversione:

Energia (lavoro=potenza*tempo)

 

J (=W*s)

kWh

kcal

BTU

1

0,2778*10-6

0.239*10-3

0,948*10-3

3,6*106

1

860

3413

4186,8

1,163*10-3

1

3,9685

1055

0,293*10-3

0,25198

1

Potenza (capacità=lavoro/tempo)

 

kW (=kJ/s)

kcal/h

CV

BTU/h

TON

1

860

1,34

3412

0,284

1,163*10-3

1

1,56*10-3

3,97

330,7*10-6

0,7457

642

1

2550

0,2123

0,293*10-3

0,252

0,393*10-3

1

83,3*10-6

3,5168

3024

4,71

12000

1

Alcuni siti dove trovare maggiori informazioni sulle unità di misura termodinamiche e sulla loro conversione li trovate nella sezione siti utili.

Le caratteristiche tecniche

Fatta questa doverosa introduzione sulle unità di misura, passiamo a leggere le caratteristiche di un apparecchio tipico.

Potenza assorbita: è la quantità di "combustibile", sia esso elettricità che gas, che la pompa utilizza per funzionare: è, in sostanza, quello che andremo a pagare in bolletta.

Potenza resa: è la quantità di calore che, in un'ora, la nostra pompa sarà in grado di fornire o di assorbire dall'ambiente climatizzato. Quanto maggiore è potenza resa (a parità di quella assorbita), meno andremo a pagare di bolletta...

Occorre porre attenzione al fatto che le caratteristiche sono misurate in condizioni ambientali e di installazione ben precise, al variare delle quali si possono verificare variazioni di rendimento anche significative. La più importante è la temperatura tra cui lavora l'impianto; pressoché tutti effettuano la misura nelle condizioni:

 

Funzionamento in riscaldamento

Funzionamento in raffrescamento

Temperatura interna

20° Bulbo secco (DB=Dry Bulb) /
12° Bulbo umido (WB=Wet Bulb)

27° Bulbo secco (DB=Dry Bulb) /
19° Bulbo umido (WB=Wet Bulb)

Temperatura esterna

7° Bulbo secco (DB=Dry Bulb) /
6° Bulbo umido (WB=Wet Bulb)

35° Bulbo secco (DB=Dry Bulb) /
24° Bulbo umido (WB=Wet Bulb)

Cosa vogliono dire bulbo secco e bulbo umido? Normalmente noi, come si può immaginare, la temperatura la misuriamo con il bulbo del termometro asciutto; tuttavia, se mettiamo un panno bagnato intorno al bulbo, l'acqua evaporando da questo abbasserà la temperatura; tanto più l'aria è secca, tanto più è veloce l'evaporazione, tanto maggiore sarà questo abbassamento. In realtà, quindi, questo abbassamento è una misura di umidità; è anche quest'ultima, oltre alla temperatura, ad influenzare sia la potenza assorbita che (soprattutto) quella resa.

Altro parametro da considerare è la lunghezza delle tubature: maggiore la lunghezza ed il numero di curve, maggiori le perdite e di conseguenza minore il rendimento; il costruttore normalmente indica la lunghezza con cui è stata effettuata la misura, dando per scontato che si tratta di tubi rettilinei ed orizzontali. Un'ulteriore variabile potrebbe essere la tensione di alimentazione (es. 230 Volt piuttosto che 220).

In realtà, comunque, la maggiore influenza è data dalla temperatura esterna (dato che quella interna è abbastanza costante) e dall'umidità dal lato più freddo, ossia all'esterno in riscaldamento ed all'interno in raffrescamento.

Il rapporto tra potenza resa e potenza assorbita si chiama efficienza (normalmente indicata con COP, da "Coefficient of Performance", coefficiente di prestazione). Un COP inferiore a 3 è da evitare, ed uno superiore a 3,5 è ottimo. Tuttavia, come abbiamo detto, qualsiasi variazione rispetto alle condizioni nominali influenzerà sicuramente questi parametri, in misura in buona parte sconosciuta; come vedremo tra poco, quindi, esistono parametri che indicano con maggiore precisione la qualità della pompa a tutte le temperature.

Il COP reale, quindi, varia in base alla differenza tra temperatura interna ed esterna. Se fuori ci sono 15 gradi, il COP è molto elevato, in più la quantità di calore richiesta è inferiore, quindi il costo del riscaldamento crolla. Se viceversa la temperatura esterna scende di diversi gradi sotto lo zero, il COP diventa molto più basso, tanto che il calore introdotto in casa proviene quasi esclusivamente dall'elettricità consumata, con una spesa elevatissima; ci sono pompe di calore che, in queste condizioni, si fanno aiutare da una resistenza elettrica per tentare di mantenere accettabile la temperatura interna, ovviamente a scapito dei costi; se si vive in zone dove la temperatura è spesso sotto zero, è praticamente indispensabile affiancare alla pompa di calore una caldaia tradizionale, limitando l'uso della pompa di calore all'inizio ed alla fine della stagione fredda (ci sono studi che dicono che anche in queste situazioni si può avere un risparmio)..

In sostanza, l'efficienza della pompa di calore è una funzione della differenza di temperatura tra interno ed esterno. A seconda dei climi per cui è progettata, la curva che descrive il COP può essere molto diversa. Per chi ha qualche nozione di termodinamica, la pompa di calore deve ovviamente rispettare i suoi princìpi fondamentali, (il terzo in particolare); dai dati sperimentali si ricava che le pompe odierne hanno un'efficienza di circa un terzo della massima teorica, e questo vuol dire che lo sviluppo tecnologico può ancora fare molto per migliorarle. A seconda del clima del posto in cui ci si trova, quindi, la stessa pompa di calore può avere costi di gestione molto diversi. Forse è proprio a causa di tutte queste incertezze che da noi la pompa di calore è ancora semisconosciuta. Per sapere quale installare, bisognerebbe raccogliere dati statistici sul posto per diversi anni, poi applicarli alle diverse pompe di calore, scegliendo la più indicata.

Tanto per avere un'idea, a lato trovate il grafico delle prestazioni di una pompa di calore commerciale.

Come si vede, al diminuire della temperatura cala sia la potenza assorbita che il rendimento, e quindi la potenza resa (che è il prodotto dei due) cala ancora più rapidamente. A zero gradi la potenza fornita è circa il 75% di quella nominale (ossia di quella - lo ricordo - a 7°C).

Ho detto che l'efficienza viene indicata come COP; questo è inesatto, perché si parla di COP solo durante il funzionamento in riscaldamento; per il funzionamento in raffrescamento si parla invece di EER (Energy Efficiency Ratio, indice di efficienza energetica), che è sempre una misura di efficienza ma, tanto per complicare le cose, non viene indicata dagli anglosassoni come numero puro (come il COP, in kW/kW, o kCal/kCal, o BTU/BTU), ma in BTU/Wh; poiché 1 Wh (= 1/1000 di kWh) è pari a 3,413 BTU si ha che, per ottenere l'EER "nostrano" (il COP "estivo") bisogna dividere l'EER per 3,413.

Senza conoscere il rendimento alle varie temperature è praticamente impossibile valutare il rendimento medio di una certa pompa di calore; ma, diciamoci la verità, anche conoscendolo la difficoltà rimane... Negli USA, come per molte altre cose, sono molto più avanti di noi sulla diffusione delle pompe di calore come sorgente di riscaldamento, mentre quasi non esiste abitazione o ufficio privo di condizionatore. Così, per semplificare la vita ad utenti ed installatori, sono stati inventati una serie di parametri che servono a valutare la bontà di un prodotto in modo molto più semplice. Esiste anche un'agenzia governativa, l'EREN che si occupa di promuovere la diffusione delle pompe di calore, e l'associazione indipendente dei produttori, l'ARI, che ne certifica le caratteristiche, e fornisce una lista di tutte le marche e modelli.

Comunque sia, abbiamo detto che sia il COP che l'EER sono misure limitate, poiché si riferiscono ad una singola condizione di funzionamento (temperatura ed umidità interna ed esterna), ma non dicono assolutamente quale sia il rendimento medio che ci aspettiamo in condizioni reali, ossia al variare della temperatura esterna. Gli statunitensi hanno creato quindi altri due parametri, utilissimi per gli utenti: l'HSPF ed il SEER.

Si immagina di porre la pompa di calore/condizionatore in un clima tipico, "campione", e farla funzionare per un'intera stagione, da ottobre a maggio oppure da giugno a settembre, e di misurare il rapporto tra energia consumata ed energia resa durante tutto il periodo. È chiaro che, nel corso della stagione, la differenza di temperatura è all'inizio minima, si farà massima in pieno inverno o estate, per poi diminuire nuovamente. L'HSPF (Heating Seasonal Performance Factor, fattore di prestazione stagionale in riscaldamento) è, come dice il nome, il parametro per la stagione invernale, mentre il SEER (Seasonal Energy Efficiency Ratio, indice di efficienza energetica stagionale) è quello estivo; è chiaro che questi parametri non dipendono dalle prestazioni ad una sola temperatura, ma piuttosto dall'intera gamma di temperature che si possono presentare in un'intera stagione. Essi, indicati e certificati su tutti gli apparecchi commercializzati negli USA, non sono mai presenti sulle specifiche italiane. In parte ciò è giustificato dal fatto che l'HSPF ed il SEER sono calcolati sul clima medio "statistico", ossia una serie di temperature diverse, ciascuna con un proprio "peso" percentuale, rappresentative del "clima medio" degli USA; tuttavia non ci vorrebbe molto a farne una versione europea o italiana, dato che il produttore non ha difficoltà a misurarli.

Se andate a paragonare, ad esempio, il SEER e l'EER di due condizionatori, avrete diverse sorprese; ad esempio, due apparecchi con EER molto simile possono avere SEER molto differenti; e gli apparecchi con il SEER più elevato hanno un EER niente affatto dei migliori. Questo conferma che l'indicazione fornita dal solo COP o dall'EER non è assolutamente sufficiente.

Le regolamentazioni americane vietano la commercializzazione di pompe di calore con SEER inferiore a 10; valori medi correnti sono di circa 13/15, il massimo finora raggiunto è di 17. Rispetto a pochi anni fa, il SEER e l'HSPF delle pompe di calore sono in continuo aumento, e quindi il risparmio è sempre maggiore. Il fatto che esiste un vincolo sul SEER e non sull'HSPF indica che, mentre molti statunitensi non hanno una pompa di calore (ma comunque sempre più che da noi), praticamente tutti hanno un condizionatore; in effetti, esistono regioni, come la Florida, ma anche la zona di Washington, che devono il loro sviluppo demografico proprio all'invenzione del condizionatore, in assenza del quale ben poche persone le troverebbero attraenti... Ecco perché vi è una maggiore attenzione a queste problematiche.

Conoscendo l'HSPF della pompa di calore di interesse, se abitiamo in una zona con un clima non troppo dissimile da quello "campione", sarebbe semplicissimo calcolare il costo d'esercizio di una pompa di calore elettrica rispetto al metano: basta desumere dalla bolletta il consumo di quest'ultimo in metri cubi, trasformarlo in calore (al solito, ogni metro cubo è pari a 9200 kcal.), e dividere per l'HPFS; si otterrà il consumo di elettricità, sempre durante un'intera stagione, e dal costo per chilowatt si ricava il costo della bolletta elettrica!

Per sapere quindi quanto si può risparmiare con una pompa di calore bisognerebbe sapere non tanto le sue prestazioni a 7°C, ma per ogni temperatura esterna, facendo un calcolo medio in base alle distribuzione statistica della temperatura invernale nella propria zona. Complicatissimo, praticamente impossibile? Ma niente affatto! La norma UNI 10349, a disposizione di ogni progettista, specifica le statistiche climatiche (vento e temperatura) per ogni comune d'Italia, da impiegarsi nel progetto degli impianti di riscaldamento (!), mentre le prestazioni della pompa di calore sono perfettamente note ad ogni costruttore... Ci vorrebbe solo la buona volontà di fornirle (c'è qualcuno che mi sente, là fuori???). Nei soliti Stati Uniti, esistono programmi che, impiegando i corrispondenti dati climatici di quei luoghi, e le curve caratteristiche (che lì i produttori forniscono, e certificano, anche!), possono calcolare al dollaro, e mettere a confronto, il costo di un inverno con ogni modello di pompa di calore ed anche tra diversi tipi di riscaldamento (tradizionale, pompa aria-terreno, ecc...)!

Qui in Italia bisogna ancora andare a spanne; tenete conto che a Roma la temperatura di progetto (ossia quella minima normalmente attesa) è di 0°, e la media invernale è di poco inferiore ai 7° già citati.

Alcuni approfondimenti commerciali:

 

 

03/04/2005

Fonte: http://www.sganawa.org

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