Produzione energia elettrica in Italia: problematiche e costi

Secondo dati riferiti al gennaio 2007, in Italia la corrente elettrica per uso domestico ha il costo medio, al netto della tassazione, più alto di tutta l'Unione Europea (165,8 €/MWh); il costo medio europeo si attesta infatti attorno ai 117-120 €/MWh con un minimo in Bulgaria pari a 54,7. Includendo la tassazione, l'Italia passa - sempre in media - al secondo posto, preceduta solo dalla Danimarca e seguita da Paesi Bassi, Germania e Svezia.

Il reale costo ai consumatori finali dell'elettricità è tuttavia un valore che non è quantificabile in un unico numero: infatti esso dipende fortemente dal consumo annuale per contratto: ad esempio, per consumi fino a 1800 KWh l'Italia risulta uno dei paesi più economici, mentre le tariffe più elevate si riscontrano per consumi oltre i 3540 kWh, allo scopo di disincentivare gli elevati consumi.

Le ragioni di tale costo sono dovute a molti fattori, in parte produttivi ed in parte relativi ai meccanismi di mercato e alla distribuzione: va infatti sottolineato che il puro "costo di produzione" (già inclusi i guadagni del produttore) incide per poco più della metà del costo finale all'utente (~56% nel 3º trimestre 2008, periodo in cui petrolio e gas erano ai massimi storici, e 51% nel 1º trimestre 2009).

Per quanto riguarda il costo di produzione esso è determinato da diversi aspetti; tra questi va tenuto in conto il "mix energetico" (cioè il tipo di fonte utilizzata dalla centrale - gas naturale, carbone, nucleare, idroelettrica, ecc.), ma anche l'età e l'efficienza delle centrali, il tasso d'utilizzo degli impianti, hanno impatti significativi.

Per quanto riguarda le fonti, è noto che l'idroelettrico sia una delle modalità di produzione più economiche. Viceversa il gas viene spesso considerato fra le fonti più costose, mentre carbone e nucleare sarebbero più economiche: tuttavia non esiste unanimità di vedute in ambito tecnologico e tali valutazioni possono essere smentite da diversi studi. Ad esempio, riguardo alla convenienza della generazione da fonte nucleare, si nota che anche paesi privi di centrali nucleari hanno costi dell'elettricità inferiori all'Italia (dal 25 al 45%), pertanto, la presenza o meno di impianti nucleari non influirebbe in maniera sostanziale sul prezzo finale al pubblico.

A tal proposito, uno studio del Massachusetts Institute of Technology ha evidenziato che gas e carbone hanno costi piuttosto simili ed inferiori a quelli della fonte nucleare, a meno che quest'ultima fonte non venga favorita con prestiti agevolati e tassando gas e carbone, situazione in cui i costi delle tre modalità produttive si avvicinano. Ciò vale per impianti nuovi, in linea con le esigenze di sicurezza e tutela ambientale odierne: l'uso di carbone in vecchi impianti risulta più economico del metano a fronte però di un aumento dell'inquinamento. In Europa infatti la percentuale d'uso del carbone è significativamente superiore a quella italiana, avendo molti stati europei (in primis Germania e Polonia) notevoli riserve di carbone: questo spiega in parte il maggior costo di produzione (ma anche la minor produzione di CO2) italiano.

Anche il tasso d'utilizzo delle centrali ha sicuramente un impatto sul costo di produzione: come spiegato, il parco centrali italiano è sfruttato solamente per circa i due terzi: le rimanenti centrali, costituiscono di fatto un costo in termini di capitale investito ma improduttivo, che viene dunque "spalmato" sui costi produttivi delle altre centrali.

Rientra nella formazione del costo anche l'inefficienza del sistema trasmissivo, concepito negli anni sessanta come monodirezionale e "passivo": ciò significa che non è in grado di gestire flussi produttivi provenienti da tanti piccoli impianti né di gestire dinamicamente i carichi (riducendo quindi la differenza fra carico di punta e di base). È inoltre particolarmente insufficiente e congestionato specie al sud.

Per quanto riguarda poi il prezzo all'ingrosso, esso è influenzato anche dai meccanismi di mercato della borsa elettrica, dove l'incontro fra domanda ed offerta porta ad allineare il prezzo finale ai livelli massimi anziché a quelli minimi.

Il costo finale all'utenza è influenzato infine anche da altre componenti della bolletta energetica: tra queste l'elevata tassazione (in Italia seconda solo a quella sulle materie petrolifere) e gli oneri generali di sistema.

Esistono una tassa erariale di consumo e una addizionale provinciale: per il settore produttivo, secondo una ricerca di Confartigianato, la tassazione sarebbe particolarmente elevata: un'impresa che consuma 160 MWh all'anno paga il 25,4% di tasse sui suoi consumi elettrici, contro una media europea del 9,5%; tuttavia sopra una certa soglia di consumi per usi produttivi, sia la tassa erariale che l'addizionale si azzerano, creando paradossalmente situazioni per cui i consumi maggiori godono di tassazioni inferiori.

 

Oneri generali del sistema elettrico

Gli oneri generali di sistema, determinati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, hanno costituito nel secondo trimestre 2010 l'8,9 % dei costi elettrici del consumatore medio. Nel dettaglio, le componenti degli oneri generali di sistema sono:

  • promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate (componente A3);
  • finanziamento dei regimi tariffari speciali (componente A4);
  • finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo (componente A5).
  • copertura dei costi già sostenuti dalle imprese e non recuperabili in seguito alla liberalizzazione del mercato elettrico (componente A6);
  • copertura delle integrazioni tariffarie alle imprese elettriche minori (componente UC4);
  • smantellamento delle centrali nucleari e misure di compensazione territoriale (componenti A2 e MCT).

In particolare:

  • Circa il 7 % delle bollette è costituito dai prelievi CIP6 (che fanno parte della componente A3), formalmente introdotti per finanziare le energie rinnovabili, ma in pratica utilizzati in gran parte – in violazione delle normative europee – per finanziare l'incenerimento di rifiuti urbani o la combustione di scarti di raffineria.
  • Nel 2008 gli oneri previsti per lo smantellamento delle centrali nucleari italiane (devoluti quasi completamente alla SOGIN) e per le "compensazioni territoriali", cioè gli incentivi economici da versare ai comuni in cui sarà costruito il previsto deposito nazionale per le scorie nucleari (previsti in particolare per evitare il ripetersi di sollevazioni popolari come quelle di Scanzano Jonico) sono stati rispettivamente di 500 e 500 milioni di euro.
  • I costi sostenuti per l'incentivazione dell'energia fotovoltaica col conto energia sono stati nel 2009 di 292 milioni di euro.

 

Dipendenza

Considerando sia i combustibili sia l'energia elettrica importata, l'Italia dipende dall'estero per circa l'81% della propria energia elettrica per l'anno 2008. Tale valore viene dato dalla quota di generazione termoelettrica (fatto salvo i contributi relativi a combustibile nazionale, combustione di biomasse e rifiuti), più gli scambi di energia con l'estero.

Tuttavia, va osservato che, anche modificando il mix energetico, non sono possibili sostanziali variazioni di questa percentuale: che si parli di carbone, petrolio, uranio o metano, le riserve italiane sono comunque molto inferiori al reale fabbisogno, per cui l'approvvigionamento avverrebbe comunque principalmente dall'estero. In pratica, l'unica modalità di generazione dell'energia che potrebbe realmente considerarsi "interna" è quella che fa affidamento sulle fonti rinnovabili.

Questa situazione è comune alla gran parte dei paesi europei, dipendenti comunque da paesi extraeuropei per l'importazione di idrocarburi o uranio.

Complessivamente, la bolletta energetica italiana (cioè il costo complessivo sostenuto dal paese per le importazioni nette di prodotti energetici) nel 2005 è stato pari a 38,5 miliardi di euro. A titolo di paragone, nello stesso periodo la bolletta energetica francese netta è stata pari a 37,5 miliardi, ma con una dipendenza estera del 52% circa dalla quale sono tuttavia escluse le importazioni di uranio, considerato come "materia prima" mineraria e non come "energia primaria" e quindi escluso dal computo della dipendenza estera. Includendo anche le importazioni di uranio, la dipendenza estera francese sale a livelli paragonabili a quella dei restanti paesi della UE.

 

Fonte: http://www.reteingegneri.it 

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